PROGETTO (S)CULTURA VIII. DISPOSITIVO D’OSSERVAZIONE: CARMELO NICOTRA, L’ARTE COME UNA LENTE D’INGRANDIMENTO SUL MONDO

PROGETTO (S)CULTURA È LA RUBRICA CHE INDAGA L’ATTUALITÀ DELL’ARTE DELLE TRE DIMENSIONI, ATTRAVERSO LE VOCI DI ALCUNI TRA I PIÙ INTERESSANTI ARTISTI ITALIANI, CHE CI RACCONTANO LA LORO PRATICA. IN QUESTA PUNTATA È IL TURNO DI CARMELO NICOTRA.

Andrea Guastella.

Per Carmelo Nicotra, classe 1983, l’arte è “una lente di ingrandimento sul mondo”. Scopriamo come e perché.

Vivi a Favara; sino a qualche tempo fa luogo dimenticato da Dio, fuori da ogni circuito culturale, oggi sede di Farm Cultural Park. Restare paga.

Nel mio caso posso dire di sì, è qui che da dieci anni lavoro come artista e ho avuto modo di costruire parallelamente un mio progetto d’impresa, che mi ha permesso di mantenermi e portare avanti la mia ricerca. Restare non è sinonimo di sconfitta, anzi; personalmente mi ritengo abbastanza fortunato. Il ritorno a casa dopo gli studi non è stato traumatico: grazie al progetto Farm Cultural Park, ho trovato un ambiente culturalmente molto stimolante, che non mi ha fatto sentire isolato. La Farm ha dimostrato come da un’idea visionaria, anche in un paese periferico della Sicilia e del mondo, si possa costruire qualcosa di concreto, contagiando altri e inducendoli a migliorare il proprio territorio. Naturalmente nulla è facile, restare in Sicilia implica disagi e disservizi, e ottenere dei risultati a volte è una conquista; ma io ho sempre cercato di buttare il cuore oltre gli ostacoli, sentendomi gratificato. Ciascuno dovrebbe poter vivere nel luogo che ama.

La tua arte è specializzata nell’esplorazione/evocazione dei luoghi. Quando lavori in residenza, qual è la prima cosa che ricerchi?

Ogni luogo è unico e procura suggestioni completamente diverse. Quanto a me, provo a indagarlo dai punti di vista che esso stesso suggerisce per natura o identità. Una delle prime cose che faccio è andare nelle biblioteche cittadine. Le biblioteche sono miniere di contenuti autentici, che sfuggono talvolta alle informazioni superficiali che si ottengono navigando su internet. Tanti miei lavori sono nati nelle biblioteche. Amo molto questa fase solitaria di studio che mi porta a leggere a fondo testi e documenti. Questo metodo comunque non esclude un altro aspetto della ricerca per me fondamentale, ovvero l’esperienza relazionale. Quelli che abitano in un luogo sono quasi sempre la chiave per raccontarlo, e vanno, se possibile, direttamente coinvolti nello sviluppo delle opere. Ho avuto modo di istaurare in residenza rapporti umani davvero importanti.

Tra le tue sculture, le mie preferite sono i pezzi d’arredamento murati e ricoperti di cemento o schiacciati dai mattoni. Mi ricordano le facciate di certi palazzi, non solo di Favara, collocati per le strade con la provvisorietà di armadi ma fatti, tragicamente, per durare.

Assolutamente sì, per durare o disintegrarsi, come abbiamo visto da recenti avvenimenti di cronaca. Favara è un caso studio rilevante quanto a deturpamento ambientale e urbanistico, tutto a discapito della sicurezza, mediante l’edificazione in zone sismiche, franose o protette. Il fenomeno dell’abusivismo nell’agrigentino è quello che ha portato negli anni ‘80 alle leggi che ancora oggi regolamentano il fenomeno. È un fatto sociale e politico con cui ho sempre convissuto. Le opere cui ti riferisci nascono proprio da un’indagine sulla cosiddetta “architettura spontanea”, definizione coniata da Bernard Rudofsky per indicare le forme architettoniche-edilizie che non sono attribuibili a nessun progettista o autore in particolare. Dalle mie parti in molte costruzioni, vagamente postmoderne, la dominante è il cemento, a volte il marmo, ma si trovano stilemi comuni anche nelle decorazioni: colonne doriche, sporgenze fuori scala… elementi che a volte superano l’immaginazione più kitsch. Trovo interessante questa componente nonsense, spontanea, che estrapolo e tento di esasperare nei miei lavori. Mi piace usare materiali opposti e incompatibili, che accosto per realizzare una forma nei collage o un innesto nelle sculture, in cui evoco, in modo bizzarro, una qualche armonia compositiva. Provo insomma a rendere ironicamente gradevole ciò che nella realtà è aberrante.

Qualche tempo fa hai creato per una mostra a Palermo un “dispositivo di osservazione”. Di che si tratta? Potremmo definire la tua arte un “dispositivo di osservazione”?

L’arte, nel suo significato più ampio, è una lente d’ingrandimento sul mondo: un “dispositivo di osservazione” che accresce la cognizione di noi stessi e quella universale. L’opera Dispositivo di osservazione che ho presentato nella residenza “Palermo Panorama”, all’Haus der Kunst Verein Düsseldorf-Palermo, è ispirata al libro Viaggio in Italia di Karl Friedrich Schinkel, il quale a sua volta aveva ritratto per primo Palermo attraverso una prospettiva inedita, ovvero dall’alto, nel suo Panorama von Palermo, insieme di paesaggi dipinti della città che danno allo spettatore l’illusione di una visione naturale, a trecentosessanta gradi. Nel 1808, a Berlino, Schinkel presentò quella veduta di Palermo all’interno di un diorama, una grande struttura dal diametro di ventisette metri. Ho trovato affascinante l’idea ottocentesca di trasportare in maniera fisica lo spettatore in un paesaggio illusionistico attraverso il dispositivo del diorama, che si potrebbe paragonare all’odierno metaverso. Ora, salendo sugli edifici più alti della città, è possibile vedere gran parte di Palermo e la natura che la circonda; da quel punto di osservazione, mi sono soffermato su un frammento: i suoi tetti. La superficie che ha ospitato la mostra mi ha permesso di sviluppare un’installazione di grandi dimensioni, che coinvolgeva in qualche modo lo spazio del fruitore, per cui ho realizzato una struttura a spiovente in ferro, lunga dodici metri e larga un metro, coperta da duecento e ottantotto tegole provenienti da una storica fornace del 1800 ancora attiva a Palermo. L’opera descrive realisticamente una stretta porzione di Palermo, invitando il fruitore, attraverso il titolo, ad attivare nell’immaginazione una visione del panorama muovendo da una sua piccola parte.

Che cosa pensi della scultura, in generale?

Nel tempo ha dimostrato di assimilare, o ispirare, linguaggi e nuove pratiche del contemporaneo come l’installazione. Per tutto il ventesimo secolo sino ai nostri giorni, la scultura si è confrontata anche con l’architettura, ritagliandosi un ruolo nella definizione del rapporto tra l’opera e lo spazio.

A cosa ti stai dedicando, a cosa ti dedicherai?

È un momento importante di riflessione e analisi. Sto rivedendo degli appunti, raccolti negli anni, per una mostra personale; inoltre sto lavorando a una scultura che presenterò in primavera

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