EUR_LIBYA

Con questo nuovo progetto fotografico, esposto ora per la prima volta dopo due anni di gestazione, Federico Baronello analizza la rappresentanza simbolica del potere nella sua forma più pura, l’architettura, prendendo ad esempio quel “fascismo di pietra” di cui parla lo storico Emilio Gentile, incarnazione esemplare dell’ideologia del potere, i magnifici edifici del razionalismo italiano realizzati tra i due nuovi poli della Roma fascista, il Foro italico e l’EUR. Già nel titolo, EUR_Libya contiene tutto il senso paradossale del lavoro. Lo sguardo particolare dell’artista conferisce un’ulteriore suggestione di sapore metafisico: le architetture sembrano monumenti di archeologia abbandonati nel vuoto di una luce meridiana, memore della luce delle Piazze di De Chirico ma anche dei paesaggi dei lasciti coloniali italiani in Africa. Un paesaggio surreale fuori tempo fissato nella luce, un paesaggio monumentale ma vuoto, muto al tempo stesso, che è qui ma potrebbe essere altrove nel Mediterraneo, in Africa ad esempio. Ed infatti ad una più attenta osservazione, l’architettura nelle fotografie di Federico Baronello è trasformata dal gioco surreale, per sua stessa natura trasgressivo, del fotomontaggio. Una strategia visiva di ascendenza dadaista che ha reso poi possibile quel processo di appropriazione e de- contestualizzazione intrapreso dalle neo-avanguardie critiche degli anni ‘60 e ’70. Se l’accostamento e la sovrapposizione di immagini e luoghi ricorda la strategia visiva di artisti come Hans Haacke, per Baronello la stessa operazione non ha uguale valenza critica o ideologica: il suo non è un lavoro di inchiesta sul reale come nei lavori dell’artista tedescoamericano, quanto piuttosto sulla libertà dell’immaginazione, sull’utopia del possibile indicata con un gesto discreto e minimale. Come se la Libia, o meglio l’Africa del Nord, secondo l’accezione greca e poi latina del termine Libya, fosse divenuta Roma, e Roma potesse diventare veramente a sua volta la capitale di un mondo mediterraneo unificato. Interrogando il senso dell’architettura fascista oggi, l’artista si interroga sul ruolo politico e simbolico delle istituzioni e del paesaggio culturale in senso più ampio: in queste fotografie il portato ideologico dell’architettura subisce una trasformazione profonda, come se l’ideologia imperialista originaria sia passata attraverso quell’assimilazione antropofaga teorizzata dal modernista brasiliano Oswald de Andrade quale destino ultimo del colonialismo. Un post colonialismo economico, quello stesso dei nomi e loghi di imprese nazionali che hanno tenuto a lungo relazioni commerciali ed economiche con la Libia di Gheddafi qui impressi proprio sulla pelle del “fascismo di pietra” fotografato da Federico Baronello.

Anna Cestelli Guidi, Roma 2013