Contaminazione: Fusione di elementi di diversa provenienza nella composizione di un’opera, ma anche, incrocio di due forme o di due costrutti, in modo che ne sorga una terza forma o un terzo costrutto.
Questa è la definizione data dal vocabolario Treccani, scelta per l’arduo compito di definire, la mostra, di racchiuderla in un denominazione dotata di senso e significato. Dalla definizione intuiamo che il contaminarsi prevede un’aggiunta, il risultato di un insieme di cose, una fusione,generatrice di linguaggi ricchi e stratificati.
Vi chiederete perché iniziare così un testo?
Perché mi piace partire da elementi basilari per poter arrivare a una riflessione comune, che sarà poi la nostra riflessione sul concetto di contaminazione. L’elemento base, in questo caso, è la lingua italiana, ormai declassata dal gergo giovanile e tecnologico che, ogni giorno, ci porta sempre più lontano dall’etimologia propria di una parola.
A cosa pensate nel momento in cui leggete la parola contaminazione? Dove viaggia la vostra mente? Ma soprattutto, quali immagini crea? Quale riflessione matura?
La galleria, un museo, sono da sempre, nel mio immaginario personale, lo scenario perfetto in cui si manifesta pienamente il fenomeno della contaminazione. Proprio qui, all’interno si crea, quasi inconsapevolmente un sistema circolare di collaborazioni, confronti, dialoghi tra diversi soggetti che operano e si muovono liberamente all’interno: gallerista, assistenti, artisti, curatori.
Una volta presentata al pubblico, la mostra, diventerà vostra e, con le vostre emozioni, darete il via a un’altra fase del processo di contaminazione, diventerete voi stessi elementi contaminanti e, da qui, si apriranno nuovi scorci, nuovi mondi.
Ogni opera presente è il racconto in sintesi materialistica di un’esperienza totale che ha vissuto ogni singolo artista. E’ il frutto di emozioni e cesure che hanno contaminato la loro personalità.Cos’altro è l’opera se non il risultato stesso del frutto di una serie di contaminazioni vissute dall’artista?
Così, gli artisti presenti diventano essi stessi agenti contaminanti della nostra realtà, dandole nuova linfa e nuove possibilità.
Noi, quanto percepiamo di un’opera che non sia frutto della nostra contaminazione personale?
Non esisterà mai un parere o una sensazione univoca, ma esisteranno solamente diverse percezioni. L’arte è così, non è solo un qualcosa da ammirare in silenzio, ma è un terreno fertile di gioco aperto a tutti. Nel momento in cui si uscirà da un qualsiasi museo, o da questa galleria, questa mostra entrerà a far parte del vostro bagaglio, in un modo tutto vostro, e nel nostro piccolo, vi abbiamo contaminato, con l’arte e con l’operato degli artisti che abbiamo deciso di presentare.
Le opere di Fabrice Bernasconi Borzì, Silvia Camporesi, Andreas Fogarasi, Alessandro Gagliardo, Tamàs Kaszàs, Guseppe Lana, Tuda Muda, Paolo Parisi e Ivan Terranova, diventano isole di contaminazione che popolano un oceano che si rinnova ed è in continuo mutamento.
Così ci addentriamo nel mondo di Fabrice Bernasconi costituito da un continuo contaminarsi di materiali industriali e artificiali, materiali che si possono considerare consueti nel mondo dell’arte e non. La sua stessa esistenza e crescita sono il risultato di una contaminazione italo-svizzera che ha portato alla realizzazione di opere ibride che esistono in un perfetto equilibrio armonioso. Silvia Camporesi, con la sua laurea in filosofia, attraverso i linguaggi artistici costruisce dei racconti di vita reale. Il risultato è un variegato susseguirsi di lavori in cui la fotografia si contamina, non diventa più semplicemente un mezzo ma uno strumento per portare agli occhi di tutti immagini di paesaggi e luoghi abbandonati, di sofferenza. Con i suoi lavori sull’alluvione la fotografia si contamina del senso civico: salvare il salvabile. Qui ci porta un lavoro fotografico frutto della tecnica giapponese del Kirigami, questo metodo si caratterizza per la realizzazione di piccoli tagli su un unico foglio che viene poi ripiegato per dare vita a un’immagine tridimensionale. Sono cosi raffigurati il tetto della Biblioteca di Tresigallo, un paese di fondazione con l’ideale scritta “Sogni” e l’interno del collegio abbandonato di Porlezza. Andreas utilizza forme espositive che ricordano il minimalismo e l’arte concettuale per esplorare questioni di spazio e rappresentazione. Situate tra la pratica documentaria e quella scultorea, le sue opere analizzano criticamente l’estetizzazione e l’ economizzazione dello spazio urbano e il ruolo dell’architettura e del campo culturale nella società contemporanea.
Incorporando video, sculture e installazioni in ampie reti discorsive, Fogarasi mette lo spettatore di fronte a linee di faglia: nella storia, nella politica dell’immagine e nelle identità culturali. Gagliardo ci porta, attraverso una porzione di un paesaggio, in un mondo più vasto, la sua contaminazione sottende i mondi che ha esplorato durante i suoi viaggi, da cui non ne è tornato lo stesso, ma cambiato, soprattutto dopo i dieci giorni, guidando senza sosta, attraverso la Patagonia. In quell’andare, per la prima volta, ha avuto la sensazione, forse la comprensione, di abitare un pianeta, visualizzando l’immagine di faglia, di rottura, di deriva, nella mancanza palese di quell’altro pezzo di mondo. Kaszàs, ci porta disegni di una completezza complessa, impregnati di politica e dallo scopo ultimo con cui decide di rendere la sua arte strumento di un messaggio politico. Lana, ha una contaminazione di pratiche artistiche, scultura e pittura, che in un progetto in continua creazione e metamorfosi si contamina di un argomento più intimo e profondo come quello delle paure e dei limiti che ogni uomo è costretto a leggersi dentro. Tuda, attraverso il corpo femminile ci parla della contaminazione esterna, da parte del mondo, che ci fa percepire in un modo in cui non siamo e in un modo in cui non ci percepiamo nella nostra intimità. La continua contaminazione mediatica, a cui siamo sottoposti, porta ogni donna a doversi confrontare con una bellezza estetica lontana dalla quotidianità e che l’artista rappresenta nei suoi lavori attraverso figure quasi amorfe e quasi irriconoscibili, ma che devono essere osservate attentamente. L’opera di Parisi è il frutto di un incontro con una signora che aveva frequentato, a Firenze, le Scuole Leopoldine. Scuole sorte per salvare donne “perdute” garantendo loro un futuro dignitoso ma sostanziato da una realtà duale: o moglie o suora. Proprio questo dualismo tra coppie chiuse ha rappresentato la sua contaminazione ossessivamente duale: maschile-femminile, figurativo-astratto, umano-animale, manuale-industriale… La sua “tenda”, stampata con immagini, prelevate dalla sua memoria personale custodita dal suo cellulare, che riproducono ricami industriali sovra impressi, tratti da un “manualetto di lavori donneschi”, rappresenta la possibilità di sfuggire all’apparente ineluttabilità del duale per aprirsi a una contestualizzazione effettuale. Terranova, con una delle sue opere più intime e profonde, ci presenta la contaminazione tra uomo e natura, tra foto e natura, argomento caro e magistralmente sviluppato dall’artista. Nell’opera, la leggenda di Sant’Uberto e l’abbandono di una vita da predatore si contaminano, diventando per un attimo fotografico… arte.
La contaminazione e il suo significato etimologico, di cui mi sono indebitamente appropriata, altro non è che la mia riflessione su come l’arte e gli artisti ci ricordano che l’arte è vita ed è movimento, un movimento circolare continuo che involve non solo gli attori tradizionali del mondo dell’arte, ma anche le comparse, passanti di sfuggita, che decidono di dedicare, di dedicarci, qualche momento della propria vita, qualche tassello della loro mente, un piccolo momento definito nel presente che darà inizio a un momento infinito di infinite contaminazioni.
Giulia Papa