IL PUNTO DEI PUNTI DI VISTA di Paolo Parisi
di Giacinto Di Pietrantonio
Il punto di vista che ci offre l’arte di Paolo Parisi è che essa non sia un mezzo di pura espressione, ma soprattutto uno spazio dell’esperienza umana e del suo punto di vista. Modo di vedere che di volta in volta si focalizza sui fenomeni visivi che ci aiutano a comprendere la nostra collocazione e condivisione nello spazio del mondo. Parisi con le sue opere, principalmente quadri, ci fornisce dei dispositivi ottici che ci aiutano a guardare diversamente la relazione col nostro spazio che può andare dal territorio alla particella. Premettendo che nello scrivere dell’arte e degli artisti, a mio modo di vedere, metto sempre un po’ di biografia, dirò che Parisi è del 1965 di Catania, essendovi allora nato e cresciuto, finché non decide di andare a studiare all’Accademia di Belle Arti di Firenze, dove da studente è finito per diventare insegnante nella stessa scuola. Questo di Parisi è stato un viaggio di conoscenza ed esperienza compiuto da molti altri in periodi diversi per confrontarsi non solo con la storia dell’arte moderna e contemporanea, ma con tutta la storia, dato che Firenze è la culla del rinascimento e non solo. Qui il confronto diventa a tutto campo con l’intero arco dell’arte intesa come pittura, architettura e scultura. Si tratta di un percorso formativo che prima e dopo Parisi ha attratto artisti da molte parti, come ad esempio la corregionale Carla Accardi da Trapani pure lei formatasi a Firenze anche se poi riparata a Roma, città eterna, in cui ha sviluppato la sua pittura di segni. Un’arte di segno anch’essa in dialogo con l’architettura come dimostrano le sue tende, coni e cilindri in sicofoil dipinti. Dicevamo che in questo tragitto formato e formante Parisi ha finito per arricchire la sua esperienza di partenza con quella di destinazione, mescolando così le culture manuali e concettuali, due dati fondamentali su cui si basa la sua produzione artistica; una dualità nell’unicità specifica di Parisi sottolineata anche dagli artisti. Siccome lo sguardo degli artisti è sempre fondamentale per leggere le opere d’arte, soprattutto quelle degli altri, credo che mi baserò anche su queste categorie per offrirvi il mio, o i miei punti di vista su Parisi e la sua opera.
Inizio col cercare di spiegare cosa vogliono dire queste osservazioni mosse da campi opposti; diciamo che si tratta di opere che, in un certo senso, scontentano, non mettono d’accordo le categorie e che quindi sono opere critiche, attivatrici di pensiero oppositivo che non è cosa da poco in momento in cui si sente il bisogno di un’arte che ci aiuti a riflettere sul nostro essere nel mondo. Per questo egli lega la sua opera alle utopie moderniste, anche se momentaneamente “fallimentari”, tipo le Unité d’Habitation di Le Corbusier, a dire dell’architetto progetto di residenza collettiva ispiratagli fin da giovane dalla Certosa del Galluzzo di Firenze. Come vedete, le strade dell’arte e dell’architettura portano a Firenze, perché ricca di suggerimenti capaci, in questo caso, di coniugare la vita privata con quella collettiva.
Ma si dirà: cosa c’entra l’architettura con la pittura? C’entra per vari motivi: primo perché per la generazione degli artisti di Paolo Parisi l’architettura era un punto centrale intorno a cui far ruotare la poetica dell’opera d’arte pittorica che doveva sganciarsi dal Neoespressionismo duro e puro degli anni ottanta. Parlo di autori diversamente pittori come ad esempio Michel Majerus, Franz Ackerman, Manfred Pernice. Ecco, come loro, Parisi è diversamente pittore, vale a dire che usa la pittura in modo apparentemente improprio e la discute con l’architettura e a volte anche con il design. Infatti, proseguendo nel campo dell’architettura e del suo rapporto con la pittura, è noto che sin dagli esordi essa è stata il supporto primo e privilegiato della pittura: dai graffiti delle caverne ai templi greci e alle case romane dagli affreschi medievali a quelli del rinascimento e così via. D’altra parte, la stessa Certosa del Galluzzo contiene affreschi straordinari di Pontormo, un artista che ha usato il colore in modo improprio, colore che, guarda caso, ritorna in certe opere di Parisi. Firenze è il luogo in cui questo incontro si è forse più focalizzato e dibattuto nella storia come scrive Vasari già nel 1550 nel suo noto libro Vite dei più eccellenti pittori, scultori e architettori. Si tratta di un volume sull’arte preceduto, sempre a Firenze, dalle teorie di artisti come Cennino Cennini che si definiva “piccolo maestro esercitante nell’arte dipintoria”, il quale, agli inizi del XV secolo, pubblica Il libro dell’arte o il trattato della pittura, mentre un po’ più avanti troviamo Leon Battista Alberti con i suoi De Pictura, 1435, e De Re Aedificatoria, 1452. Il primo, quello che parla di pittura, è, però, dedicato a Brunelleschi che non era pittore, ma architetto e scultore. Tuttavia, questa dedica è rivelatrice proprio dell’importanza della relazione tra la pittura e l’architettura e la relativa invenzione dello spazio simbolico; vale a dire la prospettiva a punto di fuga unico che Brunelleschi aveva inventato a utilizzo di tutti, ma soprattutto dei pittori. Questa relazione tra mestieri si evince dal rapporto dell’Alberti, anch’esso architetto, con Brunelleschi che riconduce anch’esso teoricamente tutto alla pittura.
In un simile contesto, dove l’arte di questi maestri è fortemente presente nella città, l’artista Parisi non poteva non sentire la necessità di un confronto anche se indiretto, affrontando questioni che oggi parrebbero andate, ma che invece, per l’arte, non lo sono mai. Ciò accade a partire dalla possibilità, in un mondo “informe”, di utilizzare ancora la prospettiva, vale a dire la possibilità di guardare al mondo non per quello che è, ma per ciò che l’arte propone dovrebbe essere.
Tale attitudine allo sguardo è presente già nella prima opera che incontriamo entrando nella mostra della galleria Massimo Ligreggi: Da cima a fondo (predella), 2011. Si tratta di un polittico a pannelli di legno che rimandano alla pittura su tavola medievale: sono quattro tavole affiancate su cui troviamo dipinti dei segni informi grigio-argento, segni che creano immagini più somiglianti a isole in un mare di legno che a rilievi montani. Si tratta di segni della pittura risultanti dalla visione dall’alto di immagini riprese dal finestrino dell’aereo durante vari viaggi a volo d’aeroplano, forma moderna della prospettiva a volo d’uccello cara a Leonardo, altro riferimento di Parisi. La pittura-segno dell’opera delinea le cime dei monti, le sommità, compresa quella dell’Etna e dunque della vallata catanese. Il riferimento alla predella poi sta nella collocazione inusualmente bassa dell’opera in riferimento alle predelle che nelle chiese sono collocate nella parte bassa del polittico e dunque più vicino all’osservatore. È, dunque, un modo antico e contemporaneo di parlare del punto di vista dell’artista, primo osservatore, che spinge a favorire il nostro vedere, da quando, all’inizio del Novecento, il punto di vista dell’altro è entrato a far parte dei discorsi sull’arte; una possibilità sottolineata anche dalla tradizione filosofica ermeneutica che va da Walter Benjamin a Eco a Gadamer fino a Jauss. Ruotando nella sala, a seconda di dove direzioniamo lo sguardo, notiamo opere pittoricamente “più strutturate”, quadri “astratti geometrici” di cui non possiamo fare a meno di notare la fattura realizzata tramite pennellate, soprattutto ortogonali e diagonali, sovrapposte come The Whole World in a Detail, 2019, dove il confronto è con la realtà virtuale. Qui il quadro si presenta come una scacchiera multicolore che rimanda alla pixellatura ingrandita delle immagini digitali, quadratini atomi delle immagini della figurazione contemporanea. Con questo modo di lavorare l’artista continua il suo andare a fondo delle ragioni costruttive delle immagini, ma soprattutto della pittura e del suo farsi. Il farsi della pittura in quest’opera è centrale, perché i tanti quadrati di colore diverso sono realizzati dipingendo a spatolate di colore sovrapposte ortogonalmente: prima dall’alto verso il basso, poi da destra verso sinistra e viceversa. Si tratta di presentare la virtualità del digitale, dunque l’assenza del corpo, con la presenza lenta e continuata del gesto umano ripetuto, volto a creare una pittura fisica fatta di molti strati; un corpo a corpo con la pittura che si inspessisce, diventando quasi scultorea. In questo principio oppositivo, che porta alla formazione di opere ricche di contraddizioni e quindi di contestazioni e controversie produttive “la trama sovrapposta domanda: Cosa stiamo guardando? È un’immagine bidimensionale o tridimensionale? È un’immagine che rappresenta qualcosa o è un’immagine astratta? Si tratta di tecnologia o tradizione, fisicità o immaterialità?” (Parisi).
Domande ad alcune delle quali abbiamo già risposto, altre a cui cercheremo di rispondere, iniziando col dire che le modalità operative dell’artista Parisi sottostanno al principio generale della relazione modernista che si basa, soprattutto in architettura, sull’ortogonalità che sappiamo essere non solo un mezzo pratico, ma, al pari della prospettiva, una teoria di conoscenza del mondo. Teoria e pratica che ritroviamo pure in The Whole World in a Detail (fabric), 2019-2022, un trittico azzurro, blu e verde anch’esso realizzato per strati pittorici la cui superficie, cromaticamente sontuosa, rimanda alla preziosità dei tessuti di abiti e tendaggi dipinti nei quadri del Rinascimento. Anche qui non c’è figurazione, ma il concentrarsi su un particolare ed esaltarlo nel suo aspetto cromatico con spatolate diagonali rivela, ripetiamo, non un discorso sulla figurazione, e dunque sulla rappresentazione, ma sull’analisi e presentazione della pittura che è un dato fortemente concettuale. Non dimentichiamo poi che sul principio dell’ortogonalità cartesiana dura e pura si sono dibattute teorie della pittura astratta moderna del XX° secolo e che su questo si sono rotte delle amicizie come quella tra Mondrian e Van Doesburg in quanto quest’ultimo a un certo punto introdusse la diagonale nella pittura De Stijl, motivo per il quale Mondrian gli tolse il saluto. Per fortuna da allora tanta acqua è passata sotto i ponti così che oggi Parisi può indifferentemente utilizzare diagonali, ortogonali, linee curve e così via, perché il suo non è solo modernismo, e concettualismo, ma anche pratica pittorica attiva. Difatti, dipingere una stoffa, proprio per le sue qualità di preziose luminosità e morbidezze, nel Rinascimento, e non solo, era uno degli esercizi più difficili allo stesso modo in cui lo era l’incarnato dei corpi delle persone e dunque anche metodo di valutazione della bravura del pittore, nonché di costi. Così pensiero, tecnica, economia, spazio confluiscono a dare sostanza all’arte in questione, operazione tanto importante in quanto rappresentata con forme astratte che sollecitano il nostro sforzo interpretativo, richiedendo una non passività dell’osservatore, a cui si chiede un parere a dare un suo punto di vista. Infatti Parisi, primo osservatore per assenza delle sue opere, è come l’assente Lorenzo Lotto guardato dal giovane che ritrae, sul quale si è concentrato Giulio Paolini nel suo Giovane che guarda Lorenzo Lotto. Perciò Parisi ci dà, come dicevo, opere che sono dei meccanismi ottici come nell’altra opera qui presente Unité d’habitation del 2016, il cui titolo evidentemente rimanda al già citato Le Corbusier e alla sua utopia che era, oltre che un progetto dell’abitare, una teoria del vedere, nonché del colore che del vedere fa parte; tutte questioni dibattute durante il modernismo. Le Unité d’habitation sono moduli di appartamenti costruiti su due livelli, abitazioni dalle quali non è possibile vedere la casa dell’altro e quindi non condividere visivamente l’esistenza è un antipanopticon benthaniano da dove era, invece, possibile vedere tutto, al contrario qui lo sguardo è riservato non più pubblico ma privato, mentre la parte pubblica è lasciata all’en plein air del terrazzo e, dunque, allo spazio collettivo confinante con il cielo. Dal chiuso all’aperto e dallo spazio al colore anche quest’ultimo vive la condizione pubblica delle tinte della facciata e quella privata dei colori dell’interno degli appartamenti. Si tratta di un’attenzione di Le Corbusier per la pittura e, in quanto pittore egli stesso e facente parte del Purismo, volto a portare avanti l’idea de l’Esprit Nouveau per cui quest’architettura, come quella albertiana e brunelleschiana, non parla solo della disciplina architettonica, ma anche della pittura. È la condizione del vedere e del nascondere che troviamo nei ragionamenti pittorici presenti nelle opere di Parisi come il citato quadro Unité d’habitation del 2016, opera che gioca sull’idea del vedere e del celare. Sull’idea del vedere e del nascondere, come sull’idea dell’autorialità della forma dell’arte, agisce già Coast to Coast, 2007. In questa le stesure di colore diverso, olio sotto e acrilico sopra, generano un’opera viva che continua a farsi da sé, in quanto l’olio sottostante trasudando lentamente crea delle “macchie” di colore affiorante diverso e dunque continuamente un quadro differente. Si tratta della questione dell’opera aperta in cui significato e forma, autorialità e co-autorialità sono in divenire, mai finite. Alla fine, però, e come già detto, territorialità, geografia, spazio e altri temi che l’artista affronta a partire dalla prima opera tornano anche in lavori come Bench for Everybody, 2004, opera praticabile, al centro della stanza. Si tratta di una seduta in strati di cartone dove l’ortogonalità è interrotta dalla sagomatura di linee curve che incontrano quelle dei morbidi corpi delle persone che possono sedervisi sopra. Qui l’architettura, si fa scultura, incontrando il design radicale di cui Firenze è la patria e dove il modernismo si infrange in parte sul postmodernismo e in parte sulla neomodernità. In questo diventare scultura dell’architettura evidentemente si inserisce anche l’altra sua opera: i “modellini architettonici” U.s.a.i.s.o., 1996-2013, acronimo di (Uno sull’altro in senso orario) realizzata sempre in strati di fogli di cartone con calchi degli stessi in gesso, quale antico processo di riproducibilità tecnica infinita. Si tratta di modellini che tali non sono, perché intesi come sculture ambientali, luoghi in cui le varie aperture, porte finestre e soffitto, alludono alla possibilità di guardare verso l’esterno: il paesaggio. Sono sculture e modelli che possono assumere anche dimensione ambientale come quello per Observatorium al Museo Pecci, 2004, in cui si sottolinea ulteriormente la relazione con l’architettura, il territorio e lo spazio. Posti sulla mensola della finestra della galleria questi modellini-sculture sono le prime opere a incontrare la luce rossa dei vetri colorati da un filtro in grado di diffondere gradazioni diverse di rosso che, a seconda dell’angolazione della luce esterna, nel corso della giornata variano il colore della stanza. È una variazione cromatica che colora tutta la sala, e che, andando dal rosso al violetto, rinvia ai limiti entro cui il nostro occhio percepisce tutti i colori. Sono sempre i colori a fare da guida e confronto nella seconda sala, dove sulle quattro pareti campeggiamo altrettante opere. Si tratta di dittici che affiancano una foto con un quadro. Qui l’ambiente si amplia ancora prendendo a soggetto il mare dello stretto di Messina, dunque si tratta di un’arte fatta tra e con Scilla e Cariddi; e se, come mitologia insegna, si supera questo contesto si può superare tutto. Infatti questi lavori sono esemplari: dittici intitolati The Weather Was Mild on the Day of my Departure, 2018/2021, ispirati a un capitoletto del libro di Joshua Slocum, Sailing Alone Around the World, sul giro del mondo di un navigatore solitario. È il racconto di una persona che si trova sola davanti al paesaggio del mare, e qui non sfugge il paragone con l’artista quale essere solitario entro il mare aperto dell’arte. I dittici in questione sono composti da un’immagine fotografica a sinistra scattata dall’artista ogni volta che si reca in Sicilia via mare e un quadro monocromatico a destra. Sono selezionate dalle innumerevoli immagini riprese dalla nave-traghetto nel tratto dello stretto di Messina, foto del paesaggio di mezzo tra due sponde, fra la penisola e l’isola e quindi in un territorio dittico. Sono foto poi selezionate dall’artista e accostate a quadri monocromatici indipendenti, ma il cui colore è scelto per qualche riferimento, o relazione trovate nella foto, o per qualche particolare presente in entrambi. Entrambi costruttori del punto di vista dei punti di vista di Parisi e del nostro.
Giacinto Di Pietrantonio
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